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al testo di Amina Narimi
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Mi hai condotto nel tempo anteriore a questo esilio penetrando nello spirito, nel suo principio al nome; delle nostre lingue differenti hai fatto pentecoste, dove il legno è primizia della croce, in questo quattro Aprile, e oggi
sull’orlo del mio abito, colorato, qualcosa vive e luce a giorno la gestazione, al culmine del dolore, che promette di crescere senza voltarsi indietro, per diventare a ogni gradino carne e tempo eterno insieme, nell’epiclesi riunendo il cielo alla mia terra, dove le acque sono amare e amaro il nome. Condotto al tempio, intanto sale, comprendendo tutto l’infinito che si limita nel cuore, come canta l’ufficio di Natale: “la terra offre una grotta all’inaccessibile”
Ha le gambe nude questo riso di mio figlio con una mano sola copre il pube nell’istante in cui tutta la tua voce ci raggiunge a domandare del finito, aprendo una porta, in risonanza intima col nome, nessun segreto divide più le nostre labbra separate. Nel dire: io ti vedo, Luca- è chiaro ciò che cerco di toccare.
Egli riderà per sempre dove Dio ha fatto un riso anche per noi. |
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